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L’IDEOLOGIA AMERICANA

Almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in cui la sconfitta della Germania ha segnato la fine del predominio europeo nel mondo, gli Stati Uniti costituiscono per l’Europa non solo la nazione egemone, ma il modello in ogni campo, non solo culturale, come appare evidente, ma soprattutto in quello economico e politico.

1. Le origini

Il punto di partenza di tale ascesa è stata la Seconda Rivoluzione Industriale che ha avuto negli Stati Uniti e nella Germania i maggiori centri propulsori, gli uni nell’organizzazione industriale, con l’introduzione del taylorismo-fordismo, l’altra nell’applicazione della scienza alla tecnica per lo sviluppo di nuovi prodotti e processi di produzione. L’industria moderna, fondata sull’organizzazione scientifica del lavoro e sull’innovazione scientifica, si sviluppa su grande scala soprattutto negli Stati Uniti, così come il suo strutturarsi in oligopoli transnazionali di grandi dimensioni, e qui ha origine la contrattazione collettiva e il sindacato manageriale moderno, cogestore dei posti di lavoro e quindi anche della politica industriale, sia aziendale che nazionale. Alla centralizzazione del potere economico corrisponde quella del potere politico, per cui negli Stati Uniti esso si caratterizza per la sua concentrazione nell’esecutivo e l’articolazione del potere legislativo in forma bipartitica, facilmente controllabile dall’esecutivo, benchè riluttante alla disciplina di partito, e influenzabile dai gruppi di pressione. Il vero contrappeso diviene così il potere giudiziario, che si scontra costantemente con il potere politico senza però metterlo mai veramente in discussione. La sua funzione è quella di tutelare i diritti formali del cittadino, che vengono enormemente ampliati a discapito dei diritti del lavoratore. Viene così accentuata la posizione dualistica dell’individuo come cittadino e come soggetto economico, il primo tutelato, il secondo lasciato in balia delle forze impersonali del mercato, in omaggio al liberismo.
Anche in Germania si ha uno sviluppo parallelo, poiché i “konzern” tedeschi non sono da meno dei “trust” americani, ma caratterizzato da una maggiore integrazione dell’economia nello stato, per cui anche quella del proletariato nel capitale avviene più attraverso la politica che per mezzo del sindacato, ed ha luogo nella forma del riformismo della socialdemocrazia tedesca. Anche qui abbiamo una concentrazione di potere nell’esecutivo, che non ha peraltro contrappesi. Ma non è qui possibile sviluppare una comparazione tra i due sistemi economici e politici, d’altra parte il modello tedesco non ha interesse essendo stato sconfitto.

Si è già visto come questo quadro economico istituzionale porti nella realtà pratica a configurare gli Stati Uniti come una democrazia autoritaria (Cfr “Capitale e forme politiche”, in quiesto stesso sito). Ciò che sorprende è la percezione che l’opinione pubblica ha di esso, sia all’interno degli Stati Uniti che a livello internazionale. Salvo rare eccezioni, il giudizio che si dà del sistema è esattamente quello di una percezione capovolta della realtà. Gli Stati Uniti appaiono come il “paese più libero del mondo” e a livello internazionale come strenuo difensore della democrazia, quindi della libertà.
Come ciò possa verificarsi a fronte di fatti incontrovertibili, cioè economici, quali il tributo che l’economia mondiale versa agli Stati Uniti attraverso il ruolo dominante del dollaro, e l’alto tasso di sfruttamento della manodopera, inversamente proporzionale al basso tasso di sindacalizzazione, resta a prima vista inspiegabile. Ciò conduce necessariamente ad esaminare il ruolo che oggi e nel passato, negli Stati Uniti e nel mondo capitalistico, svolge l’ideologia nel mantenimento degli assetti sociali.

Se la funzione dell’ideologia è quella di costituire una visione del mondo e soprattutto della società in cui ognuno possa riconoscersi, nella quale quindi scompaiano le classi ed i loro conflitti, occorre ammettere che l’ideologia americana, cioè l’ “american dream”, assolve meravigliosamente bene a tale compito, sia per i contenuti che per l’importanza che gli viene riconosciuta e per lo sviluppo che gli viene dato.
Riguardo ai contenuti osserviamo subito che è una ideologia pragmatica, cioè una guida all’azione sociale, cioè una morale, come lo sono del resto tutte le ideologie in quanto pensiero sociale. Proprio per questo, essendo gli Stati Uniti una società fortememte identitaria, quindi moralista, viene data estrema importanza in ogni circostanza all’adesione all’ideologia da parte di ognuno, per cui viene guardato con sospetto chiunque non l’accetti senza riserve.
Tale ideologia ha uno sviluppo in cui è riflessa la storia del sistema sociale che l’ha generata. L’ “american dream” inizia come mito della “frontiera”, di un mondo da conquistare nel quale non solo vi sono opportunità per tutti, ma dove ciascuno può esprimere le sue qualità migliori e mostrare quanto vale, valore che è commisurato esattamente alla quantità di denaro che riesce ad accumulare. La frontiera è una palestra della competizione fra gli individui e il premio per i vincenti è il successo economico e quindi sociale, mentre chi fallisce subisce una generale stigmatizzazione, ma si ammette che vi è sempre un’altra occasione se ci si rimbocca le maniche. Tutto ciò in origine corrisponde ad una realtà effettiva, ma la “frontiera aperta” scompare con le ultime assegnazioni di terre demaniali, nell’ultimo quarto del XIX secolo. Dopo di che l’ “ameriacan dream” trapassa in una ideologia degli affari, diviene l’ideologia della concorrenza che presiede al tumultuoso sviluppo economico che ha luogo dopo la guerra civile, quello del capitale moderno, cioè del capitale monopolistico dopo la Seconda Rivoluzione Industriale. Il mercato prende il posto della natura primordiale, il talento negli affari quello della capacità di lavoro nella colonizzazione, i concorrenti quello dei nativi cui contendere la terra, da eliminare pacificamente se possibile, con ogni mezzo se necessario.
Conseguenza di tale ideologia è che non esistono classi sociali, ma solo individui di successo o perdenti, per cui coloro che sono in fondo alla scala sociale sono solo quelli che nella corsa alla ricchezza sono andati incontro all’insuccesso, e ciò per colpa loro. Per cui gli operai non solo si sentono degli sconfitti, ma soprattutto non si sentono come coloro che saranno operai per sempre, ma attendono la buona occasione per uscire da tale condizione. Cioè, l’ “american dream” è il mito della scalata sociale aperta a tutti, della permeabilità delle classi sociali, della posizione sociale come realizzazione individuale, non come destino collettivo.
Con la Prima Guerra Mondiale gli Stati Uniti entrano nella competizione imperialistica, individuando subito nella Germania, nuova potenza economica e politica emergente, l’avversario principale. Esso non può essere una delle potenze in declino nate con la Prima Rivoluzione Industriale, cioè Gran Bretagna e Francia, dove la prima aveva prevalso sulla seconda creando il primo impero mondiale borghese, e in seguito nemmeno lo stato socialista dell’URSS, appena emerso dall’arretratezza economica. La Seconda Rivoluzione Industriale rimette in discussione i rapporti tra le grandi potenze, con l’ingresso nel loro concerto di nuovi stati, quali la Germania, gli Stati Uniti, il Giappone e l’URSS, che intendono divenire protagonisti, e l’uscita di altri, quali la Turchia e l’Austria, mentre altri ancora, come la Russia e la Cina, si rinnovano. Si tratta delle guerre di supremazia, cioè delle due guerre mondiali e della guerra fredda, che si possono considerare fasi distinte di un unico grande conflitto planetario. Questo immane scontro, durato dal 1914 al 1989, i settantacinque anni del “secolo breve”, gli Stati Uniti sconfiggeranno separatamente i due avversari, prima la Germania, poi l’URSS
. Tale conflitto costituisce un paradigma del movimento storico della borghesia, sostanzialmente non ideologico quanto si tratta di affari. Da una parte la sua ineliminabile frazionamento interno, dovuto alla concorrenza, ben rappresentata dalla lotta all’ultimo sangue tra Stati Uniti e Germania, dove i primi non esitano a stringere un patto con il diavolo, l’URSS, pur di eliminare il concorrente più temibile. Ma pronti ad allearsi con gli ex-nemici per battere successivamente l’avversario meno pericoloso, con un calcolo che a posteriori si è rivelato esatto. Tale duplice vittoria ha come sbocco la costituzione di un secondo impero planetario, dopo quello britannico, quello americano.

Caratteristico di tale evento non è solo il ruolo fondamentale svolto dalla potenza economica, ma in misura almeno uguale la potenza ideologica e mediatica. Radio, televisione, fotografia e cinema nascono insieme in questo periodo e rivoluzionano la produzione di cultura, quindi di ideologia, assai più di quanto abbia fatto la stampa all’inizio dell’età moderna. Peraltro a tali strumenti si affiancano a una stampa modernizzata, cioè quotidiani e riviste illustrate a grande tiratura, per creare un gigantesco e pervasivo apparato mediatico, di potenza persuasiva senza precedenti in tutta la storia.
Quanto ai contenuti, lo schieramento capitalistico e gli Stati Uniti in particolare vengono presentati in forma apodittica come il regno della libertà, sul modello della ideologia americana nazionale. Il mercato mondiale è l’arena in cui ogni paese deve misurarsi in una leale competizione, e la produttività del lavoro, quindi le risolse tecnologiche e l’innovazione, sono le capacità da far valere sul mercato, mentre gli avversari ostili da abbattere sono “le dittature” e più recentemente “gli stati canaglia“ o terroristi, e gli stati democratici sono ammessi ad una comunità internazionale volta a realizzare il migliore dei mondi possibili. Di conseguenza la subordinazione militare e politica agli Stati Uniti diviene conseguenza di quella economica e la occulta, mentre chi non si presta al gioco viene immediatamente espulso dalla “comunità internazionale”, sottoposto a boicottaggio economico e se non basta a “guerra preventiva”. In precedenza, nel periodo coloniale, era la dipendenza economia che seguiva la subordinazione politica e militare. Ora accade il contrario e si instaura fra gli Stati Uniti ed il resto del mondo un rapporto neocoloniale, che ha come simbolo e strumento principale di dominio il dollaro quale unico mezzo di pagamento e moneta di riserva internazionali, cui tutte le altre monete sono in ultima istanza subordinate.

2. La crisi

Le idee non hanno storia in quanto sono solo il riflesso della storia reale, quella materiale, l’unico campo in cui gli uomini possono agire per cambiare il mondo e se stessi. Ma le idee ne sono state finora, cioè nella storia incosciente, il riflesso mistificato, in quanto espressione degli interessi delle classi dominanti, che sono rappresentarti come interesse generale. Quindi la disgregazione della base materiale che la genera è la condizione necessaria per il tramonto di una ideologia, estinzione che segue sempre in ritardo il processo materiale di dissoluzione. Ciò accade quando il pensiero dominante non riesce più a dare una forma accettabile alla rappresentazione dello stato di cose esistente, cioè ai rapporti sociali correnti, questo perché è costretto ad entrare in contraddizione con se stesso, cioè con i valori sociali che sostiene. Ma ciò può verificarsi solo quando i rapporti sociali di produzione non sono più adeguati a dare forma socialmente riconosciuta alle forze produttive.
Ma nemmeno la nuova coscienza che segue a quella ideologica precedente si manifesta come coscienza veritiera, cioè come teoria che si contrappone all’ideologia, in quanto il passaggio da una società di classe ad un’altra non è a livello del pensiero che la sostituzione di una mistificazione con un’altra, come è avvenuto nel movimento che ha portato dal feudalesimo al capitalismo. Ciò può accarere solo con una crisi che porti al superamento della società di classe, cioè quando lo sviluppo delle forze produttive giunge ad un livello incompatibile con qualsiasi società di classe. Allora non è più possibile nessun discorso ideologico, e si apre la possibilità della nascita della teoria, di una coscienza non più solo apologetica e a posteriori, ma rappresentazione immediata e adeguata della realtà, e ad un tempo conseguenza necessaria, ma anche condizione per la nascita di una società senza classi. E’ quanto cui stiamo assistendo in questa fase storica.

L’ideologia ha una storia e sebbene sia storia riflessa, non è priva di interesse in quanto proprio per questo è una spia di quanto accade nella base materiale che la produce. Come la religione cristiana ha espresso fedelmente lo sviluppo della società feudale ed il suo passaggio alla società borghese, così l’ideologia americana, in quanto risultato della sua base materiale si è sviluppata da ideologia di un capitalismo particolare ad ideologia generale del capitalismo moderno, pervenendo allo statuto di pensiero dominante. Ma essendo sopravvenuta una grave crisi della base economica sottostante, tale pensiero entrerà in crisi a sua volta, in ritardo, in quanto ancora una volta dovrà seguire tale mutamento traumatico. Già in passato ha dovuto trasformarsi da ideologia particolare di un processo di colonizzazione a pensiero generale del moderno capitale monopolistico, poi in falsa coscienza imperiale, sempre mantenendo in tale evoluzione gli elementi fondamentali che lo caratterizzano. E’ ciò che fece il cristianesimo, ma con l’ascesa del capitalismo e la riforma fu costretto ad entrare in contraddizione con se stesso, giustificando l’adorazione del vitello d’oro, segnando così la sua fine di pensiero unitario ed universale, che corrispondeva al tramonto del modo di produzione di cui era la rappresentazione ideolizzata.
Così l’ideologia americana contraddice se stessa, ponendosi essenzialmente come pensiero liberista, ma giustificando ora senza riserve l’intervento dello stato nell’economia. Inoltre si proclama liberale e pacifista mentre interviene pesantemente, con sanzioni economiche e interventi militari, in ogni parte del mondo, senza più rispettare le tradizionali aree di influenza delle altre potenze.
Tali contraddizioni sorgono da una trasformazione radicale della base produttiva mondiale che rende necessaria una economia mondiale unificata e gestita centralmente, quindi un governo mondiale. Ma un simile livello di socializzazione delle forze produttive non è compatibile con una dimensione privatistica e con interessi settoriali. Tale necessità di trovare le forme sociali di tale livello di sviluppo dell’economia, produrrà la teoria necessaria insieme alla corrispondente coscienza sociale. Così si realizzerà un fondamentale principio espresso da Marx, sempre attuale in quanto essenziale per il passaggio al comunismo: “La teoria diviene un’arma quando di essa si impadroniscono le masse”.

luglio 09,

Valerio Bertello