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LA CRITICA CRITICANTE

Ci? che caratterizza la critica rivoluzionaria attuale, in tutte le sue varianti, ? l?attacco frontale che sferra alla tecnica. Un aspetto della critica talmente generalizzato da essere sottinteso in ogni discorso tanto da averlo reso apodittico. Cos? ? dato per acquisito quanto in tempi non lontani si presentava in modo del tutto opposto. Infatti nella teoria classica, nel marxismo, il capitalismo era considerato come prodotto dello sviluppo scientifico e tecnico, in quanto tendenza immanente allo sviluppo storico della divisione del lavoro. ?L?aumento della produttivit? del lavoro e la massima negazione del lavoro necessario ? la tendenza necessaria del capitale. La realizzazione di questa tendenza ? la trasformazione del mezzo di lavoro in macchine.? (Marx, Grundrisse) Il comunismo, contestualmente al materialismo storico, era posto come erede del capitalismo proprio in quanto quest?ultimo non era ritenuto in grado di portare a compimento lo sviluppo delle forze produttive che lo avevano generato, costituendo i rapporti di produzione in esso vigenti un ostacolo a tale sviluppo. Infatti il movimento rivoluzionario classico considerava l?istruzione tecnica e scientifica dei proletari come un atto rivoluzionario, in quanto base necessaria per il possesso non solo astrattamente politico ma soprattutto pratico degli strumenti della produzione.
Negli anni 70 quel principio viene messo in mora. La critica radicale che il movimento dell?epoca rivolge a se stesso, resa necessaria dall?involuzione stalinista e dai nuovi sviluppi del capitalismo, investe fin nei fondamenti anche la teoria. La critica del burocratismo e del consumismo, spinge il revisionismo fino alle radici della questione, cio? al modo di produrre, quale rapporto di produzione concreto, che nel capitalismo ? produzione di profitto a mezzo di macchine. Ma la critica affronta tale compito concentrandosi alternativamente solo su uno dei due termini, perdendo quindi di vista l?uno o l?altro. Da una parte dimentica che il capitale ? un rapporto di produzione in quanto specifico rapporto di sfruttamento, dall?altra che ? lo sviluppo delle forze produttive ci? che determina il rapporto. Cos? la critica sociale e quella storica si separano, giungendo tuttavia per vie diverse allo stesso risultato, il rifiuto della tecnica. Infatti, da una parte nasce una critica sociale come negazione del rapporto di produzione capitalistico in quanto tale, in quanto rapporto di sfruttamento, dove per? lo sviluppo delle forze produttive ? visto solo negativamente, senza rendersi conto di rifluire cos? nel luddismo, relegando la classe dei produttori in un ruolo storico reazionario. Questa fu la posizione diffusamente assunta dall?operaismo. Dall?altra, non separata nettamente della precedente, una diversa corrente del movimento dell?epoca si pose prevalentemente sul terreno della critica della tecnica, ma spostandola progressivamente dalla sfera della produzione a quella del consumo, trasformandola quindi in critica culturale, cio? sovrastrutturale. Si pu? congetturare che tale singolare evoluzione nascesse dall?aver posto in termini dogmatici quella critica, ci? che la indusse a credere perduta la battaglia sul fronte della produzione. Per cui si pot? giungere a considerare questa una attivit? irrimediabilmente alienata, privilegiando come terreno di scontro la sfera del consumo come consumo di ideologia, e creando nuove categorie, come la societ? dello spettacolo e la critica della vita quotidiana. Categorie che se nelle intenzioni originarie rimanevano all?interno della totalit?, ben presto divennero strumenti di una critica settoriale, per l?appunto culturale, cio? solo sovrastrutturale. Si esalt? ?la critica della merce? attuata attraverso ?la distruzione delle macchine del consumo permesso?, esaltando i saccheggi che sempre pi? caratterizzavano le rivolte di strada, teorizzando una sorta di luddismo del consumo. Epigoni di tale corrente critica sono stati i movimenti della cultura alternativa e attualmente quelli ecologisti.

E? necessario riunificare le due critiche, ma per questo occorre fare ordine su questioni che sono trattate all?interno di una attivit? teorica che ha dimenticato le proprie radici e si muove tra l?ansia di trovare nuove strade che permettano di affrontare i problemi che l?attualit? pone urgentemente al movimento, e la tentazione di dare per scontate dogmaticamente affermazioni che non lo sono affatto e che in nessun luogo sono state sviluppate adeguatamente. Ci? che sorprende ? che in entrambe le tendenze le nuove categorie appaiono completamente avulse dalla teoria rivoluzionaria classica, mentre dovrebbe apparire ovvio che in un corpo teorico non dogmatico ogni nuovo contributo deve inserirsi nella teoria esistente sia criticandola che tenendo fermi i principi fondamentali, non semplicemente cancellandola e sostituendo ad essa una teoria completamente diversa, che in realt? sovente non appare come una teoria adeguatamente articolata ma come un disorganico insieme di frasi ad effetto. In ogni caso la responsabilit? di argomentare le proprie tesi sta agli innovatori, dato che la teoria gi? esistente ha dalla sua il fatto che ? gi? stata criticata in passato e quindi ha gi? superato delle prove. Ci? non significa che non debba costantemente essere messa in questione, ma occorre che le argomentazioni portate contro di essa siano altrettanto sviluppate e comunque non mera ripetizione di tesi gi? dibattute in passato. In ogni caso occorre entrare nel merito, sia sul terreno scientifico che su quello sociale, sul primo perch? altrimenti si cade nel positivismo, sul secondo in quanto altrimenti il rischio ? quello dell?idealismo. D?altro canto, prima di scrivere ?Il Capitale?, la sua critica dell?economia politica dell?epoca, Marx aveva ritenuto necessario impadronirsi di tutta la letteratura esistente. Nessuno ? obbligato a produrre teoria, che ? solo un aspetto dell?attivit? rivoluzionaria, ma se si impegna a questo compito, peraltro non indispensabile, non pu? esimersi dal tenere ben fermo di fronte a s? tale metodo di lavoro.

Considerando la tecnica intrinsecamente, in primo luogo va detto che la critica della tecnica in quanto tale dimentica che essa ? uno strumento, quindi se ? criticabile lo ? per l?uso che ne viene fatto e pertanto deve investire chi ha il potere di deciderne l?uso, quindi il proprietario, sia giuridicamente inteso, sia quello che lo ? di fatto, cio? tecnicamente. E? possibile che lo strumento porti il segno del suo artefice e possessore, che sia commisurato all?uso che ne viene fatto, cio? ai fini per i quali tale tecnologia ? stata concepita. Ma allora va criticata come tecnica specifica, non come tecnica in generale, anzi come tecnica alienata contrapposta ad una tecnica libera e liberatoria, non pi? determinata da condizionamenti di classe. Occorre quindi esaminare ogni tecnica dal punto di vista del profitto, quindi del valore di scambio in opposizione al valore d?uso. Questo pu? essere il caso dei cibi biologici, delle energie alternative e delle medicine alternative. Ma queste tecniche appaiono pi? antitecnologiche e antiscientifiche che alternative e in ci? sta il loro limite. Infatti una tale analisi comparata deve lasciar fuori del discorso la scienza, dato che essa ? il fondamento di qualsiasi tecnica. Altra parte il metodo stesso del lavoro scientifico, caratterizzato dall?intersoggettivit? in quanto fondato su di un linguaggio esatto e condiviso (matematico-quantitativo) e una pratica comune (sperimentazione verificabile), lascia poco spazio nel discorso interno all?ideologia, cio? alla manipolazione interessata dei contenuti, senza peraltro escluderla del tutto, in ci? non dissimile da altre pratiche ed ambienti sociali, ma in misura pi? controllabile. Ci? significa che la scienza pu? essere criticata solo prendendone di mira i fondamenti metodologici, ma in tal caso si perviene a una contraddizione analoga a quella per cui la critica del linguaggio richiede un linguaggio gi? criticato, concludendo quindi necessariamente nell?impossibilit? di un linguaggio non alienato. Allo stesso modo per la scienza ci? significherebbe dichiarare l?impossibilit? della scienza. Ma colpire quel bersaglio non appare necessario per la realizzazione del comunismo, per la quale non ? indispensabile una riforma della metafisica. Se mai un tale problema risulta subordinato all?eliminazione dell?alienazione materiale, come per la religione e l?ideologia in generale.
Ma, in una prospettiva del tutto opposta, viene rimproverato alla tecnologia anche il fatto di essere esente da valori, e quindi di prestarsi ad ogni uso possibile, cio? di essere espressione di una ragione strumentale. In ci? paradossalmente gli si imputa di non essere intrinsecamente classista, quindi di essere di per s? strumento di dominio, ma neutrale. Ma questo non ? un limite, salvo che non si esiga che la tecnica sia di per s? portatrice del comunismo, il che sarebbe pretendere troppo. E? gi? abbastanza, l?aver infranto un antico divieto, l?aver scoperto che la natura pu? essere piegata alle necessit? di ogni societ?, qualunque siano i suoi scopi, e quindi che il sociale non ? condizionato intrinsecamente dalla natura in cui ? immerso, quindi nemmeno da un eventuale essere trascendente. Tale principio ? sufficiente per il comunismo e tanto basta.

Quanto al versante storico e sociale, la critica della tecnica come realt? autonoma dal sociale porta a delle conseguenze infauste. In primo luogo criticando la tecnica in termini assoluti si esime la borghesia dall?essere chiamata a rispondere dell?uso che essa fa della tecnica. Basta accennare alle conseguenze pi? deleterie e generali, cio? soprattutto al risultato pi? contraddittorio dello sviluppo del macchinismo nel capitale, cio? il fatto che lo sviluppo tecnologico, nonostante accresca la produttivit? del lavoro, ne aumenta l?intensit?, crea dequalificazione, genera disoccupazione e precariet?, salvo che per una minoranza di specializzati. Pertanto aumenta complessivamente la subordinazione al capitale, quindi la schiavit? salariata.
Ma vi sono conseguenze teoriche pi? generali.
Alla critica della tecnica sfugge un fatto di estrema importanza, cio? che la tecnica ? la forma che assume la socializzazione del lavoro sotto il capitale. Infatti la scienza e la tecnica sono un risultato storico e sociale, anzi il risultato pi? importante in una realt? che consideriamo per principio immanente. Risultato storico in quanto il movimento rivoluzionario considera, e deve considerare, il comunismo come conseguenza necessaria dello sviluppo della divisione del lavoro, cio? della sua socializzazione, in quanto forma sociale adeguata al suo pi? completo sviluppo. Risultato sociale perch? l?impresa scientifica ? fra le imprese collettive la maggiore, quella che pi? ha lasciato una traccia permanente nella storia, e lo ? sempre pi?, essendosi progressivamente ampliata e avendo accelerato il suo sviluppo. Prima separatamente, la tecnica come fatto empirico e la scienza come attivit? teorica, poi recentemente insieme come attivit? complessiva teorico-pratica, cio? da poco pi? di un secolo. Quindi occorre ancora attendere i risultati ultimi di tale evoluzione, prima di emettere una sentenza inappellabile. Ma in conseguenza di ci? vi ? altro. La critica della tecnica, alienata o meno, dichiara implicitamente inefficace quello che ? il fattore principale del movimento storico, cio? la crisi cui vanno incontro i rapporti di produzione, per l?inerzia che li caratterizza, di fronte al dinamismo delle forze produttive, delle quali la tecnica ? la principale. Escludendo questo rapporto causale, necessariamente si suppone che sia la coscienza ci? che mette in crisi i rapporti sociali e quelli di produzione in primo luogo. Si deve quindi ammettere che siano le idee a fare la storia, che esiste la storia perch? le idee hanno una storia autonoma, dando nuovamente fiato all?idealismo. E? sempre il vecchio idealismo, che perennemente ritorna alla ribalta e continuer? finch? durer? il capitale. Non ? necessario per? soffermarsi su di esso pi? di quanto necessario a ricordare che la liquidazione di tale ideologia ? gi? stata compiuta da Marx ed Engels all?atto della loro separazione dai giovani hegeliani, e rilevare che non ? opportuno per qualunque critico marxista della critica marxiana ripercorrere questo itinerario a ritroso.
Ma ancora pi? preoccupante ? il fatto che seguendo questa strada si rinuncia a quello che ? l?unico titolo storico che permette ad una classe di seppellire una societ? che ha fatto il suo tempo, e che deve scomparire, cio? farsi portatori dello sviluppo di nuove forze produttive. Sviluppo, inoltre, che ? il solo fattore che pu? portare alla crisi i rapporti di produzione, cio? la struttura su cui riposano tutti i rapporti sociali e quindi anche la coscienza di classe stessa, cio? la sovrastruttura. Solo cos? la coscienza di un?epoca, che ? determinata come pensiero dominante dal pensiero della classe dominante, pu? a sua volta entrare in crisi ed essere trasformata. E non viceversa, dato che, come ? ben noto, ? l?essere materiale che produce la coscienza. In questo senso, il nichilismo che caratterizza una societ? in decadenza, cio? la crisi dei rapporti sociali a tutti i livelli, ? un portato della tecnica. Ma non lo ? nel senso che la tecnica determini la crisi dei valori in quanto fattore negativo in assoluto. Sono i rapporti sociali capitalistici che, sempre pi? inadeguati allo sviluppo della tecnica, mettono in crisi i valori esistenti. Quindi il nichilismo imperante segnala una crisi che non ? dovuta alla tecnica in quanto dato assoluto, ma ad una tecnica in evoluzione che si scontra con un contesto sociale incapace di dare forma sociale alle conseguenze dello sviluppo delle nuove forze produttive. Ci? mette in crisi il pensiero dominante e permette l?apparizione di una coscienza negativa, inizialmente in forma assoluta. Infatti la tecnica come forza produttiva appare elemento del capitale e cos? anche i valori in crisi, che nel marasma generale non possono che apparire capitalistici, cio? reazionari, sebbene in crisi. Rimane nascosto infatti il lato positivo del processo, ma solo in termini di coscienza, non in termini pratici, che storicamente anticipano la coscienza e appaiono per primi, sebbene non riconosciuti, mentre la coscienza, la nottola di Minerva, non pu? che apparire ?sul far del crepuscolo.? La parte costruttiva del processo ? gi? apparsa nel passato, alle origini come utopia, prima religiosa poi laica, e successivamente come realizzazione pratica nella forma del socialismo reale. Ma si trattava di comunismo ancora ideologico, generato dall?insufficiente sviluppo delle forze produttive, inadeguato a mettere realmente in crisi i rapporti di produzione capitalistici, quindi incapace di spezzare il dominio della borghesia sul pensiero. Pertanto tali forme positive del superamento del capitale contenevano in s? elementi non superati del capitalismo, e non potevano che rientrare nel suo alveo, dopo breve tempo. Dopo l?attuale fase nichilista ci si pu? attendere necessariamente una nuova fase di realizzazione positiva. Quanto pi? profonda la crisi, tanto pi? radicale sar? il movimento del superamento.
In concreto, è il movimento rivoluzionario, cioè storico, l'unica verifica della teoria, analogamente alla predestinazione per il calvinista, verificata solo dal suo successo mondano. Cos? la teoria afferma che l?avvento del comunismo ? scritto nel libro della storia, ma non scende nei particolari, soprattutto non d? scadenze e accenna pure ad un possibile prevalere del nichilismo, cio? a una ricaduta nella barbarie. Quale alternativa si realizzer? e quando ? solo una questione pratica.

Si ? parlato di revisionismo. Le parole non devono spaventare: ogni teoria ? rivedibile ed emendabile. Infatti, per quanto concerne il materialismo storico, non ? che una revisione non sia possibile e in parte anche necessaria, ma occorre entrare ?in medias res?, affermare esplicitamente e in modo argomentato che il materialismo storico ? oggi inadeguato a rappresentare i recenti svolgimenti del capitalismo, in modo da poter assumersene fino in fondo la responsabilit?. Ma, in tutta evidenza, nessuno dei critici del marxismo si ? mai veramente fatto carico di tale compito, nemmeno di un serio tentativo in tal senso, limitandosi invece a considerale la tecnica (e il materialismo) gi? criticata per il solo fatto di dichiararla criticabile, o poco pi?. Questo modo di procedere non solo ? dogmatico e quindi ha a che fare pi? con la mistica che con l?analisi, ma ? anche sul piano pratico una enorme concessione elargita alla borghesia e ai suoi apologeti, sia sul piano sociale perch? solleva, come gi? rilevato, la borghesia dalle sue responsabilit? pratiche, sia sul piano della lotta teorica, in quanto si liquida una teoria rivoluzionaria sostituendovi una metafisica che si inserisce agevolmente nella corrente dell?idealismo borghese.

giugno 09 Valerio Bertello